Andrea Giostra, “Novelle brevi di Sicilia”, “III edizione”, StreetLib ed., Milano, 2018



a mia nonna Vita
che bambino mi riempì la mente
delle sue belle favole incantate


NOVELLE BREVI DI SICILIA

Andrea Giostra



Data pubblicazione III edizione: ottobre 2018
copertina: “In punta di piedi la memoria riaffiora”, 2015, Daniela Ventrone, www.danielaventrone.it
barcode:9788826051369
ISBN:9788826456102/9788826051369
UUID: a089aeec-8f17-11e7-8b84-49d00dc2aa
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
I edizione: agosto 2016
II edizione: giugno 2017
III edizione: ottobre 2018
IV edizione: dicembre 2020

INDICE
INFO E SITI WEB UTILI 5
NOTA DELL'AUTORE 4
GLI AUGURI DI MIA NONNA OTTANTENNE 11
AGOSTO A PALERMO 14
IL SINDACO 17
LA BIGLIETTAIA 22
IL SENATORE 25
AL TELEFONO 29
LA DOCCIA 32
LA CONFERENZA 35
L’ONOREVOLE 39
I DISSUASORI 43
UNA GIORNATA ORDINARIA 47
INNAMORATO 51
AUGURI DA PALERMO 54
ZONTA ZYZ 57
POSTFAZIONE DI CATERINA GUTTADAURO LA BRASCA 59
RINGRAZIAMENTI 60


NOTA DELL’AUTORE
di Andrea Giostra 

Quelle che leggerete sono delle novelle brevi, anzi, brevissime, di vita di Sicilia, di vita di siciliani, di vita vera e raccontata spontaneamente senza mediazioni linguistiche; che non vogliono rappresentare metafore o meta-significati.
Sono delle piccole storie e rappresentano quello che dicono, quello che leggerete!
Rappresentano la mia esperienza diretta, vissuta in prima persona e che ho scritto di getto con il mio vecchio Nokia E90, oggi da museo di archeologia informatica.
Il senso, la morale, se c'è un senso o una morale da dare, li darà il lettore che le leggerà.


GLI AUGURI DI MIA NONNA OTTANTENNE
«Caro nipotino mio, adesso che hai fatto diciotto anni e sei diventato grande, fa il bravo ragazzo, sii responsabile e maturo, rifletti bene prima di fare qualsiasi cosa e non ti avventurare mai prima di aver riflettuto sui rischi e sulle conseguenze di quello che dovrai fare.
Non frequentare cattive compagnie e stai solo con ragazzi e ragazze che possono darti qualcosa e possono farti stare bene.
Punta al successo, ai grandi ed ambiziosi traguardi, che possano arricchire la tua vita e il tuo tempo.»
Avrei voluto augurarti tutto questo, caro nipotino!
Invece, io che ho ottant'anni, dico basta con tutte queste minchiate!
Quello che ti dico è invece questo: «Goditi la vita più che puoi, scopati tutte le ragazze che ti piacciono picchì sì un bieddu picciuttu e 'u puoi fari! Gira il mondo e viaggia tanto finché non ti stanchi, e quando sarai stanco di goderti la vita e di viaggiare, trovati una donna ricca e bedda assai, e falla innamorare di farici perdiri la testa!
E quannu è innamurata pazza, maritatilla subito, accussì non dovrai lavorare e vivrai nel benessere e nella ricchezza con i soldi di lei, poi falle fare tanti figghi così da vecchio non sarai solo e avrai cu’ cummatti cu’ tia. Insomma, goditi questa vita che è breve e vola via velocemente senza ca’ ti nadduni!
Pensa solo a prenderti cura della tua famiglia, delle persone che ami, di te, e di tutto il resto futtitinni! Hai capito caro nipote mio?
Questo devi fare!
Così quando diventerai vecchio, comu sugnu iu ora, non rimpiangerai nulla della vita da giovane, e avrai fatto tutto quello che hai voluto e ti sarai goduto la vita, picchì nun n'arresta nienti una vuota chi muriemu e nall'atru munnu nun ni purtamu nienti!
U capisti?
Fai comu ti rici to' nonna nca na' passatu di tutti i culura 'na so vita, e ni sapi assai di cosi, e sapi comu funziona lu munnu tirrenu!
Ora ca ti rissi tutti sti cuosi, schietti schietti, tu puozzu riri Buon Compleanno niputeddu mio!
E, comu riciva to’ nonnu, ora pigghiamuni nu beddu cafè!»


AGOSTO A PALERMO
Giro per la città col mio scooter, per sbrigare le ultime faccende prima di andare in vacanza.
Palermo è piena di turisti affollati nelle vie principali del centro storico, col naso all'insù e l’indice che taglia in due la guida Touring della Sicilia stretta nella mano sinistra che aspetta che la destra, sollevata a mostrare gli scuriti palazzi nobiliari decadenti e le sfavillanti chiese barocche ed arabo normanne appena restaurate, finisca di gesticolare nel mostrare sì contraddittoria architettura ad occhi attenti che al fianco seguono incantati le linee immaginarie tratteggiate dall'altro indice che proteso accompagna la lettura della storia dei monumenti palermitani.
Appena fuori dal centro le saracinesche dei negozi e dei ristoranti sono calate malgrado l’ora.
La città è deserta.
Mi sento al mio paese, incastrato tra le colline che dominano il golfo di Castellammare, quando ragazzino mi mettevo all'angolo della cantoniera e osservavo incantato il passaggio rispettoso del morto.
Evento raro un funerale in paese, almeno allora, che per giorni diventava l’argomento principale dei bar e dei saloni da barba: «Ma comu muriu? Comu fu? Ma quant’anni avieva? Ri subitu muriu? Ma...! Ma...! Tutti dà amu a ghiri a finiri, si sapi chistu!».
Sempre le stesse domande.
Sempre le stesse risposte.
Ripetute come in un disco di vinile incantato trasmesso in filodiffusione in ogni dove.
In paese rispetto voleva che al passaggio del morto si calassero le saracinesche dei negozi, dei bar, dei saloni da barba, e la gente ch’era per strada si fermasse e stesse immobile, in silenzio, col capo chino, aspettando che passasse il corteo, prima di riprendere chi a lavorare, chi a passeggiare, chi a proseguire nei suoi chiffari.
Così è Palermo oggi, aspetta che passi il corteo del morto.
E il morto è agosto.
 
IL SINDACO
Ascoltava immobile, seduto con la schiena resa curva dai tanti anni di faticosa politica attiva - come si vantava spesso - per amministrare quelle che riteneva le sue meravigliose isole vulcaniche al centro del mediterraneo.
Aveva i gomiti appoggiati al tavolino del bar “I Faraglioni”, pieno di turisti appena scesi dall'aliscafo, luccicanti di sudore e assetati che si godevano la granita di mandorle alla messinese con una morbida brioche appena sfornata dal microonde.
Il suo sguardo fissava attento una piccola schiera di eleganti barche a vela e di piroscafi di lusso che ondeggiavano ritmicamente ormeggiate al molo Levante, a pochi passi dal bar che da circa un anno aveva lasciato gestire al figlio maggiore e prediletto che lo aveva reso orgoglioso sposando una bellissima e giovane bionda torinese di ottima famiglia, che gli aveva da poco regalato una bellissima nipotina che si distingueva per il colore della pelle olivastra e per gli inconfondibili tratti somatici siculi della famiglia che da cinque generazioni abitava quelle isole.
Il consigliere comunale si affannava a dare spiegazioni e a chiedergli insistentemente come mai da settimane non gli dava più confidenza, se avesse fatto qualcosa di cui non si era reso conto, se l'aveva offeso, o se gli aveva mancato di rispetto.
Parlava velocemente e quasi affannosamente guardandolo dritto negli occhi.
Il sindaco non si lasciava distrarre e continuava a fissare le barche ormeggiate al porto.
Il consigliere allora aumentò il ritmo e il volume della voce per attirare la sua attenzione.
Parlava in stretto e incomprensibile dialetto messinese che solo chi è nato e cresciuto in quella provincia avrebbe potuto comprendere.
Un orecchio distratto avrebbe invece potuto facilmente scambiare quella lingua per arabo o per una sconosciuta lingua nordafricana.
Gli aveva concesso già cinque minuti del suo tempo, guardò il Rolex d'acciaio per accertarsi dell'ora, e in quello stesso istante vide arrivare la giovane e bellissima nuora che gli s'avvicinava sorridente e con in braccio la nipotina che con gli occhi sgranati mostrava un sorriso ampio e gioioso che lasciava intravedere le piccole e rosee gengive ancora spoglie di dentini.
Fu a quel punto che la sua espressione mutò subitaneamente.
Si alzò di scatto, prese la paffutella manina della bimba, la baciò sulla fronte, le sorrise con tenerezza e con gli occhi lucidi di gioia.
Poi aggrottò le ciglia, si girò verso il consigliere comunale che intanto si era alzato accanto a lui, lo puntò negli occhi per un solo istante, e spedito si avviò verso l'uscita del bar.
Il consigliere comunale, senza esitare, lo seguì a ruota, spedito, tallonandolo da dietro senza mollarlo di un centimetro.
Lo immaginai come un piccolo Yorkshire che affannosamente e con la lingua penzolante dalla bocca spalancata, sta cercando di tenere il passo della sua vanitosa, altezzosa e ricca padroncina che a passi svelti e spediti si riflette nelle vetrine di via Condotti guardando più che gli eleganti abiti firmati, quella che lei ritiene la sua meravigliosa immagine riflessa.
Lo Yorkshire, instancabile, tenacemente, continua a saltellare tallonandola da dietro, prima a dritta e poi a manca, nel non facile compito di leccarle velocemente la penzolante mano destra prima, e la mano sinistra poi che sorregge una piccola ma elegante e raffinata borsa firmata.
Ma com'è che ho potuto immaginare un minuscolo Yorkshire come il corpulento e rozzo nei modi e nelle fattezze consigliere comunale? ... e l'altezzosa e raffinata donna di buona borghesia torinese con il piccolo e baffuto omino - che Dostoevskij avrebbe descritto come un insignificante scrivano degli uffici delle tasse dello Zar - potente sindaco dell'arcipelago più noto del mediterraneo che da due lustri oramai si impegnava instancabilmente e generosamente a ricoprire la prestigiosa e rispettata carica istituzionale di primo cittadino?

 
LA BIGLIETTAIA
Dalla finestra entrava una luce forte e accecante che colpiva lo specchio dove la sua immagine veniva riflessa.
Il collo sottile e slanciato le donava un'eleganza innata, naturale ... le braccia lunghe e sode erano ritte lungo i fianchi curvi e sinuosi che traboccavano di femminilità ... i seni erano alti e sodi, piccoli ma proporzionati, che immaginava presi da dietro con tanta forza da procurarle un intenso dolore mischiato ad un sublime piacere.
Il pube era ricoperto da un fitto ciuffo di peli neri e morbidi ben rasati che immaginava facili da spartire con dita lunghe e sottili per consentire alla lingua di insinuarsi tra le grandi labbra e scovare il clitoride che lentamente ma progressivamente si sarebbe indurito mentre veniva leccato e succhiato sempre più freneticamente.
Le gambe erano lunghe e rese muscolose dagli esercizi che ogni mattina si costringeva con determinazione a fare in una piccola palestra ricavata accanto alla camera da letto.
Di traverso, con lo sguardo obliquo puntato dritto nello specchio, si guardò il sedere tondo, sodo, brasiliano, alto e pronunciato che aveva fatto girare la testa a decine di uomini che se n'erano innamorati.
Era quella la parte del suo corpo che la rendeva orgogliosa di sé più di ogni altra ... era il suo culo che la faceva sentire una femmina irresistibile ... erano quelle rotondità che amava e che la facevano sentire seduttiva ... erano quei due muscoli possenti e rotondi, costruiti con fatica in centinaia di ore di intensa palestra che aveva reso così provocanti e voluttuosi, che le piaceva immaginare di sentirseli prendere voracemente con passione infuocata da due mani grandi e forti di pescatore di tonnara.
Fu a quel punto che si fermò un momento.
Guardò i suoi occhi allo specchio, poi si infilò il vestitino nero molto aderente comprato la sera prima in una boutique del corso che delimitava la spiaggia nera.
Le gambe e i polpacci, che non amava, erano scoperti.
Come tutte le mattine si recò in quell’ufficio bianco e arredato parsimoniosamente con vecchi e antiquati mobili di rovere, a staccare biglietti per i turisti che sempre più agitati e di fretta di lì a poco si sarebbero imbarcati chi per tornare sulla terra ferma chi per continuare le vacanze nelle altre isole di quell'arcipelago puzzolente di zolfo e nero di una lava secolare che ai suoi verdi e profondi occhi ancora oggi appariva lurido e sporco.

 
IL SENATORE
Portò l'indice destro verso la lingua per inumidirlo e sfogliare facilmente il Giornale di Sicilia nel quale stava leggendo della morte di un ex senatore della Repubblica ucciso dal suo giovanissimo badante immigrato regolarmente, dopo che l'aveva prima lavato e poi accompagnato nella camera da letto.
Aveva immaginato il rosso sangue colorare a chiazze profonde e ampie le lenzuola bianche del grande letto matrimoniale dell’ex senatore, e le pareti schizzate dappertutto come in un dipinto astratto di Goa, un pittore sardo del quale aveva visto le opere navigando su internet.
La stanza si era riempita di carabinieri e di giornalisti sui cui visi si leggeva il disgusto della scena del delitto.
I primi erano intenti a delimitare con un nastro bianco e rosso la scena del delitto ... i secondi, chi sul palmare, chi su taccuini di carta riciclata, prendevano velocemente appunti facendo domande a raffica al capitano appena arrivato e ancora disorientato dallo spettacolo che gli si era presentato agli occhi.
Il Prefetto, appena uscito dalla stanza, aveva ricevuto la telefonata della massima autorità dello Stato, amico di lunga data dell'ex senatore, che gli chiedeva notizie.
Impalato come sull'attenti nell'ingresso della villa e sudaticcio per il caldo afoso di agosto e per la tensione della telefonata ricevuta, aveva raccontato i fatti e rassicurato il Presidente sulla discrezionalità delle indagini.
Poi chiuse il cellulare e prese dal taschino il suo fazzoletto bianco ricamato che poggiò sulla fronte per assorbire le vistose gocce di sudore dalla pelle rossiccia e paonazza per il caldo e l'emozione della telefonata.
Il questore per tutta la telefonata rimase immobile accanto a lui e lo fissava dritto negli occhi per la curiosità di quello che di lì a poco gli avrebbe detto.
Il Prefetto lo guardò, gli fece solo un cenno con gli occhi, che nel loro linguaggio non verbale voleva dire: appuntamento in Prefettura per il pomeriggio.
Le dita della mano destra del Prefetto si erano sollevate lentamente e l'Audi A3 si avvicinò.
Salì gustandosi la frescura dell'aria condizionata sparata a diciotto gradi dal suo autista, e frettolosamente sparì dietro l'angolo che delimitava la tenuta della Fondazione di cui era Presidente l'ottantenne ex senatore della Repubblica.
Aveva immaginato tutto questo.
Poi aveva chiuso il giornale, e si era tuffato nelle acque trasparenti della spiaggia dell'asino, dalla quale si vedevano i fumi del vulcano minaccioso e affascinante.
Gli era venuto in mente Sciascia e il suo romanzo breve "Una storia semplice".
Si era chiesto come mai.
In fondo era in Sicilia e lui era un siciliano.
Come l'ex senatore della Repubblica, come il Prefetto, come il Questore e come il Capitano dei Carabinieri.
Uscì dall'acqua e pensò che avrebbe dovuto distendersi sul lettino e godersi la vacanza in quel posto straordinario e così colmo di silenzio e di pace.
Chiuse il Giornale di Sicilia, lo rotolò, e lo buttò nel cestino del lido dove decine di turisti stavano apprezzando la natura illuminata da un sole caldissimo che in quel posto appariva selvaggio e possessivo.


AL TELEFONO
Stava raccontando qualcosa che lo aveva turbato, che non lo faceva stare bene, qualcosa che doveva confidare a qualcuno, per non tenerlo dentro, per lasciarlo uscire dal suo petto, dove avrebbe assunto, se lasciato non-detto, una dimensione inquietante, distruttiva, svilente.
E quando aveva iniziato a parlare, la voce al di là del telefono gli era sembrata comprensiva, in ascolto, attenta, interessata. Allora il suo racconto era diventato più fluido, più libero, spontaneo.
Un piccolo entusiasmo lo aveva preso, a poco a poco stava crescendo insieme alla sua narrazione.
Adesso si concentrava sui particolari, sui piccoli dettagli apparentemente insignificanti ma che nascondevano la vera natura del racconto.
Era bello tutto questo, stava pensando.
Emozionante, liberatorio.
E l'energia del racconto si stava facendo sempre più intensa, fluida, impetuosa, catartica.
Poi fu interrotto bruscamente: «Scusa, scusa - disse la voce al di là del telefono - devo avvertire un mio collega che la riunione è saltata. Ci sentiamo la prossima settimana. Ok? Ciao...» e aveva riattaccato senza lasciargli il tempo di replicare o di salutare.
La cornetta era rimasta appiccicata al suo orecchio.
Rimase immobile per qualche secondo.
Poi, lentamente, chiuse il telefono e fissò fuori dalla finestra che si proiettava sull'ampia strada, che dal porto arriva a piazza Politeama.
La strada, dal quarto piano del palazzo in stile Liberty di fine ottocento dove aveva lo studio, appariva sempre più affollata di gente anonima e sconosciuta che frettolosamente sbarcava da una gigantesca nave da crociera appena attraccata al porto.
Un brulichio di croceristi stava invadendo via Emerico Amari intrufolandosi nell'unico bar di fronte al porto e nei negozietti a schiera che vendevano gadget e cazzate inutili a basso costo creati apposta per quei turisti occasionali.


LA DOCCIA
Non ce l’ho fatta a non pensare alle foto che mi avevi inviato con WhatsApp.
A quelle foto che volevi mettere sul tuo profilo Facebook, e che mi avevano turbato la sera prima ... che mi avevano imprigionato in un desiderio di te irresistibile.
Ti avevo detto che eri bellissima, troppo provocante, troppo eccitante.
Quelle foto non andavano bene per metterle su Facebook.
No, non andavano proprio bene.
Avresti attratto troppi maniaci.
E su Facebook ce ne sono tantissimi di maniaci che vanno alla ricerca di piaceri mediatici solitari.
Te l’avevo detto più volte quella sera.
Ti avevo anche detto che avrei voluto fare l’amore con te.
Anche questo te l’avevo ripetuto più volte.
Mi avevi tramortito, disorientato, con la tua voce, con le tue foto, con quello che mi avevi detto: «Me lo puoi strappare questo vestitino verde che mi lascia i seni ben in vista? Quando ci vedremo me lo metterò per te!»
Poi mi hai salutato.
Ti ho salutata con un bacio immaginato sulle tue labbra.
Sono andato a letto.
Ho dormito tutta la notte col pensiero di te ... tra le gambe, con una mano, l'ho tenuto stretto per frenarne il desiderio.
Ho sognato di sprofondare col mio viso sui tuoi seni, morbidi, delicati, accoglienti.
Io affamato di te, a cercarti.
E poi la mia mano si è infilata tra le tue cosce e ti ha accarezzato ... eri morbida, vibravi.
Che sogno fantastico!
Poi mi sono svegliato e non c’eri.
Ho chiuso gli occhi per ritrovarti, ma l'immagine era sparita, il desiderio no.
Mi sono infilato dentro la doccia.
L'acqua bollente mi ha rilassato.
Ho chiuso gli occhi e ti ho immaginata con me.
L'ho preso e ho consumato il desiderio di te avvolto dal vapore che ha confuso il mio seme con la schiuma dolce e gabbana.


LA CONFERENZA 
Il Direttore del Dipartimento Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia, la dottoressa Melita Cavallo, già giudice minorile presso la Procura dei Minori della capitale, aveva appena finito il suo intervento amplificato da un microfono che dal palco ronzava la sua voce rauca dritta dritta dentro le orecchie di un centinaio di ascoltatori attenti e partecipi, malgrado i timpani fossero infastiditi dal ronzio delle casse acustiche distribuite perimetralmente lungo le pareti bianche della sala colorata dal verde pallido delle sedie nel cui leggio ripiegabile erano poggiati taccuini che penne Bic strette da mani leste riempivano di appunti al ritmo di teste che sintonicamente annuivano agli accenti oratori della Cavallo.
Che spettacolo, dicevo a me stesso guardando dall’ultima fila della sala quel balletto di nuche ricoperte di capelli ricci, lisci, mossi, biondi, scuri, chiari, bianchi, brizzolati, gialli, lunghi, corti, pelati, scarni, chiazzati, sistemati con cura da mani inesperte che avevano cercato di imitare maldestramente parrucchieri di fiducia.
Che spettacolo era quel movimento sincronizzato ed elegante che annuendo dava consistenza alle parole della Cavallo!
Che spettacolo!
Ne ero affascinato.
Il “grazie, grazie” conclusivo dell’oratrice diede il là ad uno scroscìo di applausi che dimostrava il consenso degli uditori, che i decibel raggiunti dimostravano assoluto, unanime ad ascoltatori incompetenti o ignari degli argomenti trattati.
Fu allora che la Cavallo si alzò dalla sua sedia e con occhi luccicanti d’orgoglio, che raccoglievano soddisfatti il plauso degli uditori, attraversò con una camminata lenta, sicura e apparentemente claudicante, il corridoio centrale della sala delimitato dalle file di sedie in parallelo sistemate di fronte al tavolo dei relatori ricoperto da un panno verde poker.
Io quella donna la guardai ammirato, incantato, stupefatto.
Era riuscita, ancora una volta, ad esercitare un potere magnetico che mai il suo aspetto avrebbe lasciato intuire.
Aveva fatto danzare meravigliosamente cento teste addobbate a festa che s’erano mosse come fantastici ballerini su “Il lago dei cigni” di Pëtr Il'i Čajkovskij.
Si rifugiò dentro l’auto blu che l’avrebbe accompagnata a sirene spiegate a Fontana Rossa per rientrare nella capitale, ed era scomparsa dietro l’angolo dell’hotel Le Dune.
Tutti gli sguardi che avevano visto sparire dalla vista la Cavallo, come saette erano schizzate fuori dalla sala delle conferenze per precipitarsi chi in piscina, chi al bar, chi negli angoli privè, chi in auto messe velocemente in moto, chi a formare crocchi pettegoli sul prato verde appena innaffiato, chi a mostrare borse firmate della nuova collezione Louis Vuitton, Saint Laurent, Prada, Gucci, Hermès, chi a parlare della nazionale di calcio, lasciando i relatori frementi di dare pronte risposte all’introduzione della Cavallo.
Gli oratori erano rimasti silenti e composti dietro al tavolo verde della sala delle conferenze, che adesso svuotata appariva ancora più bianca e con sedie libere che mostravano a occhi assenti il loro mancato splendore.


L’ONOREVOLE
Aspettavano che arrivasse l'onorevole, tutti in piedi nella grande Sala Gialla ricoperta di arazzi fatti a mano con telai d'ulivo da donne laboriose educate fin da bambine all'ubbidienza e alla disciplina del lavoro.
Donne che ignoravano come la loro fosse arte tanto preziosa quanto dimenticata nella sua raffinata tecnica da lì a quattrocento anni.
C'erano giovani professionisti disoccupati e giovani politici in cerca di successo che da padri sperti e navigati avevano pì fuorza appreso che le relazioni importanti, per farsi strada nella vita, contavano più del talento, della preparazione e della fatica nel lavoro.
Erano tutti ben vestiti, gli uomini in eleganti abiti scuri con cravatte Hermès, le donne con vestitini che lasciavano scoperte le gambe e décolleté provocanti e generosi, con al braccio penzolanti borse Louis Vuitton.
Le grandi finestre della Sala Gialla lasciavano entrare luce soffusa di una città puntellata di piccoli bagliori bianchi, rossi, gialli, arancioni, verdi, che la ornavano come un immenso e fantasioso ricamo lavorato con fatica da mani rugose che ad uno ad uno l'avevano finemente modellato con luccicanti pagliette di perle variopinte.
L'immenso e fastoso Palazzo Reale dominava dall'alto della collina quell'incantevole spettacolo che la luminosa luna piena, specchiata nel mare blu cobalto del grande porto commerciale dell'isola, rendeva ancora più unico e suggestivo.
I corridoi del Palazzo erano affollati da crocchi di sempre più impazienti convegnisti che si scambiavano sorrisi stentati e che ascoltavano distrattamente i futili argomenti di conversazione occasionale soliti di quegli eventi dove il numero dei partecipanti è molto più apprezzato della qualità dell'attenzione dimostrata.
Numeri che danno ai relatori, per lo più politici da sedurre o impressionare, il peso politico degli organizzatori.
Come al solito era in ritardo.
Non amava quei posti, né quella sorta di eventi dove la sola cosa che conta è fari prisienza, fare numero, e poi complimentarsi coi relatori anche se non aveva seguito l'argomento o non c'aveva capito nulla.
Esserci e cerimoniare, questo era importante per il lavoro che svolgeva.
Aveva preso di corsa l'ascensore e aveva sperato che il convegno non fosse ancora iniziato per salutare al suo arrivo l'onorevole, e poi svignarsela quatto quatto alla prima occasione propizia, giusto il tempo di seguire l’apertura dei lavori del solito moderatore, molto attento alla presentazione di rito che avrebbe narrato delle gesta, dei successi internazionali e delle capacità diplomatiche e politiche dell'onorevole.
Uscì frettoloso e impaziente dall’ascensore.
Si diresse a passi svelti verso l’elegante salone dei congressi.
Fu lì, nel foyer, che il suo sguardo quasi distrattamente incrociò due occhi neri come il carbone e profondi come l’ignoto che lo paralizzarono d’incanto.
Esitò un momento, si guardò attorno barcollante cercando di ritrovare la direzione che stava percorrendo, senti rimbombare chiassosamente le voci dei convegnisti annoiati dalla prolungata attesa.
Poi un silenzio assordante lo devastò.
Tutto si era fermato.
Stava vivendo una sensazione che a stento comprendeva.
Lentamente girò lo sguardo dietro di sé e capì che quegli occhi neri e profondi gli avevano appena mosso un fendente violento che aveva aperto dentro il suo petto uno squarcio d'innamoramento che mai più si sarebbe rimarginato.


I DISSUASORI
L’asfalto di fresca posatura di viale della Libertà emanava un tanfo ed un vapore fastidiosi ai due giovani pedoni che sudaticci avevano scavalcato la fascia bianco-rossa che delimitava la strada, e arricciando il naso l’avevano velocemente attraversata lasciando impronte di scarpe di gomma divenute appiccicose che avevano fatto nervosamente alzare lo sguardo e la voce al crocchio di operai della Gesip scoperti nel dorso per il caldo africano.
Il Sinnacollando li aveva costretti a lavorare sotto il sole cocente di agosto per dimostrare alla città che gli ottocento ex-detenuti ed ex-tossicodipendenti, lavoratori della cooperativa creata dal medesimo nei primi anni novanta, non era uno stipendificio, ma serviva veramente alla città.
E sempre il Sinnacollando aveva pubblicamente detto, al momento del recente insediamento, che la prima cosa che avrebbe fatto era eliminare gli orripilanti dissuasori in cemento di viale della Libertà voluti dal suo predecessore, il sempre assente Sinnacotennista, che per quattrocentomila euro aveva reso il viale impraticabile agli scooter e agli autobus di linea dell’Amat che ad uno ad uno s’erano scassati negli ammortizzatori e nelle carrozzerie riempiendo all’inverosimile i garage dell’officina dell’Amat.
«- Chi fai nun lu viri n'ca a pici è frisca?
- Avemu primura! Chi vuoi? Fatti i cazzi tuoi!
- Viri si ti dugnu un corpo di pala n'testa! Nuatri puru primura avemu di finiri prestu ca c’è un cavuru di moriri. Nun lu fari chiù a prossima vuota, va bene?
- Picchì a' sinnò chi fai?»
I due ragazzi, l’ultima frase l’avevano gridata dileguandosi velocemente nelle viuzze che portavano al Borgo Vecchio.
Io m’ero fermato a guardare la scena.
Fantastica, bella e variopinta, fatta di suoni e di odori, di tanfi e di grida, di sguardi e di occhiate storte.
E in quella scena c’era la storia di tutta la città, della sua cultura e delle sue tradizioni, del detto e del non-detto, della prepotenza e della soperchieria, del rispetto e dell’arroganza.
E per un attimo mi sono sentito in un teatro all’aperto, in un cabaret per pochi intimi, in un cinema per vedere un film neo- realista recitato in dialetto siciliano.
E quello che avevo visto non poteva che avvenire qui, nella mia città, in questa terra ch’è la mia, piena di contraddizioni ma anche di immensa vitalità.
È stato allora che ho pensato che oggi una mia cara e amata amica, che vive lontano da questa che è anche la sua terra, oggi compie gli anni.
Forse una scena come questa, per un attimo, per un momento, ho pensato, l’avrebbe trascinata qui con me, nella sua isola.
Forse con la mente sarebbe stata catapultata nel centro storico della mia città, ch’è molto simile alla sua.
E forse questo poteva essere un piccolo e semplice regalo che le potevo donare.
Scriverle e spedirle la scena alla quale poco prima, passando da viale della Libertà, avevo assistito.
Tanto ordinaria da queste parti, quanto straordinaria per chi vive lontano e la deve semplicemente immaginare.


UNA GIORNATA ORDINARIA
Giornata infernale oggi, senza respiro, senza tregua, senza sosta, senza pietà alcuna.
È da stamattina che vengo massacrato.
Me ne succedono di tutti i colori nel mio lavoro.
In genere il lunedì è il giorno peggiore della settimana.
L'ho sempre odiato.
Non mi è mai piaciuto, neanche quando andavo a scuola, da piccolo, e non sapevo ancora cosa fosse lavorare.
Ma il lunedì lo odiavo già.
Mi piacerebbe invece che fosse un giorno leggero, lento, tranquillo, senza problemi, senza casini, senza discussioni.
Oggi invece è stato l'inferno.
Già da stamattina alle otto, subito dopo aver preso un buon caffè al bar.
I primi appuntamenti un casino.
Poi telefonate di fuoco e persone in attesa in ufficio (senza appuntamento), appostate nella sala d’attesa, per discutere su questioni del cazzo dove da torto volevano ragione!
Mi è venuto un mal di testa pazzesco, incredibile, dolorosissimo.
Le tempie me le sentivo pressate come da una macchina di tortura medievale invisibile ma impietosa, come una morsa di fabbro che fissa un arnese da taglio per affilarlo per bene.
Poi riunione in assemblea regionale.
Tre ore, di cui una di attesa.
Panino e rientro in ufficio.
Un caffè di corsa al bar più vicino, in piedi, di fretta.
Di solito il caffè lo prendo lentamente nella terrazza del bar dell’angolo. Leggo per dieci minuti il Giornale di Sicilia, poi faccio due passi, solo cinque minuti, e infine mi avvio verso il portone del palazzo costruito nei primi del novecento sulla strada che si conclude nella porta a mare della città antica, dove ogni giorno arrivano enormi navi da crociera che liberano migliaia di croceristi alla ricerca affannosa di souvenir e calamitine con tascissimi rilievi colorati che tentano di ricordare un viaggio in Sicilia.
Oggi, invece, il caffè l'ho mandato giù come si fa con la tequila bum bum, di botto, andavo di fretta, era inevitabile.
A momenti mi usciva dalle narici.
Un nuovo appuntamento mi aspettava al quarto piano.
Altri documenti da preparare.
Ho finito adesso.
Stanco?
No, distrutto, sfinito.
Con la sola idea di rientrare a casa, fare una doccia, cenare velocemente, distendermi sul divano, guardare un film su Sky, e finalmente distrarre l’attenzione dal lavoro e farmi prendere dolcemente dal sonno.
Questa è stata la mia splendida giornata di oggi.
Bellissimo inizio.
Fantastico.
Ma c’è una cosa che mi piace, adesso che mi sono fermato e ci penso: di certo non mi annoio.
Mai.
E questa è la cosa che mi piace.
Ma tu dove sei?
Ed io, ingenuo, che pensavo di trovarti ad aspettarmi!
Che ingenuo che sono!
Va bè, proverò più tardi, se le forze mi assisteranno!


INNAMORATO
È come se commettere delle gaffe mi mettesse in una situazione di sudditanza, di difetto, di colpa, di errore da riparare, insomma: Una situazione nella quale, per l’errore commesso, non si può più meritare quello che si vorrebbe ardentemente.
Quello per cui si anela voracemente.
È come se dicessi a me stesso: «Vedi? Hai commesso una bella minchiata! Adesso come farai? È impossibile che tu ottenga quello che vuoi, quello che vorresti, quindi rinunciaci. Mettiti il cuore in pace. Non sei cosa.»
È questo quello che forse una parte di me vuole dire all'altra parte di sé.
Una parte che teme il fallimento all'altra parte che vuole il successo.
Ci sono sempre state queste due componenti dentro di me che hanno lottato tra loro ferocemente.
Spesso vince una, qualche volta vince l’altra.
Ma sempre in competizione.
E dipende dall'umore, dai successi ottenuti, dalle soddisfazioni maturate.
Più sono i fallimenti, più la parte che teme il fallimento domina per la rinuncia.
Più sono i successi, più la parte ambiziosa prende il sopravvento e domina sull'altra.
È un continuo lottare dentro di me, e questa lotta la sento sempre.
Ogni momento.
Ecco, con lei mi succede questo.
Mi succede che la parte che vuole il successo non riesce a dominare, e l’altra parte fa a questa degli sgambetti imprevedibili che la portano al ridicolo, alla goffaggine.
E tutto ciò ha delle ripercussioni devastanti.
Ma è così.
Non si può fare nulla se non sperare che il successo prevalga sull'insuccesso e la parte migliore di me prenda il sopravvento.
Ecco! È questo quello che penso mio caro amico.


AUGURI DA PALERMO
Erano le otto e trenta del mattino di una calda giornata di giugno, e l'aria di piazza Marina, resa umida da una cappa africana, ci costringeva a cercare l'ombra degli splendidi palazzi nobiliari che abbracciavano la bellissima villa alla Kalsa progettata dal geniale Basile nella seconda metà dell'ottocento.
Eravamo tutti in cerchio a parlare nell'attesa di prendere un buon caffè e di due belle ed eleganti signore nordiche che stavano arrivando a piedi lasciando alle loro spalle la Cala e la chiesa di Santa Maria della Catena.
Da lì la mèta sarebbe stata il promontorio che Goethe, nel suo viaggio in Sicilia, aveva definito il più bello del mondo.
U’ munti dove un 15 luglio di secoli prima i miei concittadini, chi in ginocchio chi a piedi scalzi, per scacciare la peste che stava decimando il popolo palermitano, s’erano trascinati in preghiera nella grotta dov'erano state ritrovate le reliquie della Santuzza divenuta, per il miracolo concesso, patrona indiscussa e venerata della città.
Fu un viaggio breve ed intenso quello che ci portò sul pizzo della collina.
Un marocchino lavavetri scoraggiato nell'agire da un cenno deciso degli occhi del guidatore; tornanti infiniti di munti pilligrinu, che aprivano squarci incantevoli sul golfo marinaro e sul porto industriale della città.
Un parcheggiatore abusivo dissuaso nel fermarci da frasi in dialetto smozzicate, incomprensibili ma efficaci.
Poi il Castello Utveggio che domina la città e il mare.
E lì che seppi che il 14 di luglio la bella e raffinata signora venuta dal nord nella mia calda città, compiva gli anni.
È passeggiando con lei sul belvedere del Castello che mi raccontò del suo bel viaggio di nozze in Sicilia, che l’aveva affascinata e fatta innamorare dei nostri profumi e dei colori del nostro selvaggio e incontaminato paesaggio.
È oggi che il Carro della Santuzza a forma di vascello, già pronto per lo storico corteo, sarà trascinato da Porta Nuova a Porta Felice dai buoi benedetti dall'Arcivescovo della città, dove i babbaluci e le crocchè, per essere sucati i primi e manciati ca' rosetta i secondi, aspettano l’inizio dei giochi d'artificio che illumineranno a festa la città liberata dalla peste del milleseicentoventiquattro.


ZONTA ZYZ
I viali in terra battuta dei giardini reali erano sparsi di ceri alla citronella che allontanavano le zanzare e illuminavano le opere esposte all'aperto.
La camminata veloce verso la cavallerizza alzava un sottile strato di polvere amplificato dalla luce dei faretti sparsi oculatamente lungo i viali per risaltare i colori dei dipinti e le forme delle sculture che osservavano incuranti il mio passo affrettato.
Gli amplificatori rendevano le voci del palchetto improvvisato protagoniste della serata adesso divenuta fresca e movimentata da un fruscio di convenevoli, sorrisi, strette di mano, abbracci, pacche sulle spalle, baci sulle guance, scambi di battute, reciproci complimenti e congratulazioni.
Le vidi tutte schierate una accanto all'altra. I sorrisi erano schietti, sinceri e soddisfatti.
Tutto stava procedendo come sperato, organizzato, programmato.
I ragazzi della scuola alberghiera, impettiti in tait con papillon colorati, zigzagavano con vassoi colmi di assaggini preparati nel rispetto dell'arte culinaria siciliana, mentre mani leste sbucavano improvvisamente da crocchi di invitati eleganti e raffinati, e si allungavano per svuotare le portate e rendere più agevole l'equilibrio apparentemente precario dei giovani camerieri.
Fu allora che il tenore, invitato per l'occasione, intonò un canto poderoso accompagnato dalle note decise e ritmate del pianoforte sul quale si era concentrato, isolandosi dalla folla dei convenuti sparsi lungo la cavallerizza ch’era stata di Federico II di Svevia.
Le donne che stavano lasciando il palco, apparivano adesso ancora più belle, avvolte da un'aurea nuova, luminosa e luccicante di nuova forza e vitalità, di uno spirito di solidarietà generoso che li rendeva consapevoli che insieme, sarebbero state più forti, più convincenti, più determinate e avrebbero fatto grandi cose.
Si era appena conclusa la cerimonia di fondazione del nuovo Club Zyz ed erano ufficialmente diventate donne Zonta.


POSTFAZIONE 

Tutti portiamo, ovunque andiamo, le nostre radici, ma ognuno ha la sua modalità. Molti nascondono il mondo che esse rappresentano dentro la memoria e vedono la luce solo nei racconti che verranno fatti ai piccoli della famiglia. Tanti amano, invece, dimenticare per non rimanere imbrigliati nel loro passato. Pochi hanno il coraggio di riesumarlo e regalarlo a tutti come un monile prezioso, da tramandare per non farlo morire con noi. Di questi ultimi fa parte Andrea Giostra, che ha impresso la sua "sicilianità" in tanti fogli bianchi, facendo una raccolta, il cui nome è "Novelle Brevi di Sicilia".

Le sue quattordici Novelle sono frutto di una Sicilia antica che si racconta con genuina veridicità a coloro che non ne hanno conosciuto la Storia, nel bene e nel male. Giostra non giudica, non approva o disapprova, si limita a restituire ai Siciliani di oggi la paternità di gesti, movenze, emozioni che non hanno tempo e quindi vivibili anche nell'attuale contesto storico. Questo è, a parer mio, il grande pregio di questo Autore, di essere, passatemi il termine, il "Traghettatore" di un passato storico, emozionale, di tradizioni ad un presente che, talvolta, lo rinnega perché superato o non degno di essere storicamente ricordato. Sappiamo bene che chi non ha un passato non può avere un futuro, la Storia Siciliana è un puzzle di dominazioni che l'hanno invasa, anche dominata ma mai sconfitta. Nessuno le ha tolto i suoi tramonti, i colori dei suoi oleandri, i cibi, le sue magnifiche e universalmente riconosciute bellezze artistiche. Sì, ci sono stati secoli segnati dall'ignoranza, dalla povertà e dalla mancanza di lavoro, c'è stata violenza, ma un Siciliano resta un Siciliano che sa cos'è il rispetto, l'amore per la famiglia, la devozione per i suoi Santi. E poi Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, quanta ricchezza artistica e letteraria grazie alla quale, con orgoglio, ci permettiamo di vivere …"questo luttuoso lusso di essere siciliani" come dice il grande Gesualdo Bufalino.

Andrea Giostra è personalità culturalmente poliedrica, con queste “Novelle brevi di Sicilia”, ci permette di conoscerlo come portavoce della Sicilia e dei Siciliani. Descrive fatti e persone nella loro immediatezza e non si pone l’intento di dare messaggi o veicolare verità, anche se, alla fine, chi legge rimane conquistato dagli usi e i costumi di questa terra. Nelle descrizioni c’è una intensità che non può non stupire se non si è siciliani. Le sfumature dei tramonti, l’intensa bellezza che si offre agli occhi di chi passeggia su secoli di storia; la gestualità dei turisti, incantati e rapiti dalla magia della sua Palermo, occhi ammirati dalla bellezza e malinconici come lo è il saluto di chi vede ormai finire la propria vacanza. Quadretti che l’Autore rende pittoreschi avvalendosi della lingua madre, il dialetto, per descrivere scene di vita quotidiana, vissute lungo le strade che diventano così veri e propri pièce teatrali improvvisate. I pomeriggi assolati, quando tutto rallenta, i tramonti con pennellate di colori che fanno da sfondo a una natura rigogliosa. L’imbrunire che veste d’intimità le cattedrali, i vecchi palazzi, veri e propri ricami di architettura, vestigia lasciate da tante dominazioni storiche. Un Autore attento, che fa emergere qua e là sprazzi di saggezza, parole dette da una nonna ad un nipote come un’eredità preziosa, il silenzio che si osserva in ogni dove quando passa, per le strade, un corteo dietro ad una bara. La vita si ferma, il capo si scopre in segno di rispetto, il silenzio diventa commemorazione e compartecipazione. Danno valenza al narrato il rispetto per gli anziani, l’ammirazione per la bellezza femminile descritta con garbo e decisione, la consapevolezza femminile della conquista fingendo di non osare, il compiacimento del trionfo del vero talento sulle prevaricazioni, che sono alla base delle ingiustizie e del pressapochismo sociale. C’è anche un accenno ad una Sicilia a volte violenta, incompresa, amara, frutto dell’ignoranza, dell’inciviltà e dell’antico abbandono politico/sociale. Quelle di Andrea Giostra sono Novelle che sposano l’antico e il moderno di una Sicilia che è per questo terra di tutti, perché seppure dominata da tanti popoli non ha smarrito la sua identità e il suo classicismo. Questa è la “Sicilianità” che vuole evidenziare l’Autore ma in modo sommesso, non assolvendo o condannando nessuno, lasciando al lettore spazio per il suo convincimento scaturito da una testimonianza tesa soltanto a restituire alla sua terra il valore storico che le appartiene.

Con questi miei brevi cenni ho vissuto emozioni e sensazioni di una terra che è anche la mia. Ho potuto constatare la bontà e la veridicità di quanto è narrato da Andrea Giostra con un linguaggio colorito ma semplice, teso a sdrammatizzare anche la pesantezza di certi accadimenti. Questa è del resto la vera Sicilia: la terra dei Pupi siciliani, del cannolo, della cassata, della granita, dell’irresistibile profumo della zagara e del gelsomino, delle donne procaci che sanno conquistare fingendo di non osare, di Segesta, Taormina, Monreale, Noto, il Teatro greco, della generosità e del dolore dei suoi figli che l’hanno dovuta lasciare in cerca di un futuro per la propria famiglia.

Un pensiero del grande Goethe, che facciamo nostro, dedicandolo a tutti coloro che per un giorno, un anno o una vita intera hanno incontrato questa Terra, amandola intensamente: «L’Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto. La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l’unità armonica del cielo e del mare e del mare con la terra … chi li ha visti una sola volta li possiederà per tutta la vita».

Caterina Guttadauro La Brasca

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RECENSIONE  

“Autore di rilievo, emozionale, con uno spessore culturale inusuale e di superiore qualità, da non perdere l’opportunità di godere delle sue opere” | di Piero Casoli

Le Novelle brevi di Sicilia noi le abbiamo lette!

Tra le molteplici attività che sono proprie di una Casa Editrice riteniamo siano di estrema importanza e, aggiungiamo, di responsabilità, la valutazione delle opere pervenute dagli autori per l’eventuale pubblicazione nonché l’esprimersi con una libera ed obiettiva recensione di opere pubblicate da altri Editori.

Non sempre i nostri commenti hanno incontrato le “non espresse” speranze degli autori ma, tutti coloro che abbiamo avuto il piacere di incontrare e con i quali confrontarci, hanno pienamente recepito il nostro messaggio di rigorosa correttezza, sincerità ed equilibrio di valutazione.

Siamo consapevolmente certi che nessun recensore abbia “il diritto” di giudicare l’opera in esame; solo il lettore ha questa facoltà.

È importante la premessa fatta perché ci accingiamo a commentare l’opera Novelle brevi di Sicilia scritto dal prolifico autore Andrea Giostra e, aggiungiamo noi, purtroppo, autopubblicatosi per sua rispettabile scelta.

Ci piace sottolineare che Andrea Giostra spazia dal racconto al breve ma incisivo brano che tratteggia, come un dipinto, frammenti di vita siciliana a lui tanto cara; egli si addentra con la capacità di acuto osservatore anche in interviste letterarie e in recensioni cinematografiche. Scrittore poliedrico e di classe.

“Gli auguri di mia nonna ottantenne”

È una scrittura riccamente dettagliata, piana, agevole nella lettura con un linguaggio raffinato ma comunque facilmente fruibile e che si lega, armoniosamente ed inaspettatamente, ad un linguaggio quotidiano parlato da tutti noi.

L’autore è sempre presente in tutti i racconti anzi ne è il protagonista invisibile e – questa capacità – testimonia l’attitudine all’utilizzo duttile della lingua italiana.

Sorprendente la figura della nonna ottantenne prodiga di buoni consigli che il suo ruolo e la sua età indurrebbero a trasmettere al nipote mentre – invece – lo incita, accoratamente, a godersi quanto più possibile la gioventù.

È pregevole l’utilizzo di un linguaggio estremamente attuale ed in lingua siciliana della nonna: “e di tutto il resto futtitinni”; notevole l’alternanza linguistica!

“Agosto a Palermo”

Uno spaccato di vita che ci immerge in una realistica conversazione che avviene alla vista di un funerale; sono le domande che sorgono spontanee a tutti noi “ma comu muriu?”, “comu fu?” alternando sapientemente– nel racconto – il perfetto italiano ed il dialetto; ben pochi autori raggiungono un così delicato equilibrio.

L’opera Novelle brevi di Sicilia contiene 14 racconti: gradevoli, ammiccanti, alcuni passionali ma tutti capaci di creare l’atmosfera siciliana ma non solo, facilmente apprezzabili e godibili dai “continentali”.

“Il senso, la morale, se c’è un senso o una morale da dare li darà il lettore che le leggerà”; questo è il vero senso delle opere di Andrea Giostra che, guarda caso, corrisponde pienamente al nostro comportamento come Casa Editrice: l’unico giudice è il lettore.

Andrea Giostra, un autore di rilievo, emozionale, con uno spessore culturale inusuale e di superiore qualità, da non perdere l’opportunità di godere delle sue opere.

Le Novelle brevi di Sicilia noi le abbiamo lette!

Piero Casoli

 Piero Casoli, editore, scrittore, giornalista.

https://www.facebook.com/lamacina.onlus

 Giornale online “La macina magazine”

https://www.lamacinamagazine.it

 La recensione di Piero Casoli è stata pubblicata sul giornale online “La macina magazine” il 27 Agosto 2017, e si può leggere cliccando qui:

https://www.lamacinamagazine.it/novelle-brevi-di-sicilia/

 

RINGRAZIAMENTI
Ringrazio i cari amici che mi hanno dato un prezioso aiuto nel lavoro di editing e nelle necessarie riletture dei testi:
Sarah Gravagnola, magistrato, Napoli.
Caterina Guttadaduro La Brasca, scrittrice, Bologna.
Giuseppe Lo Dato, geologo, Bologna.

 

L’Autore: Andrea Giostra

https://www.facebook.com/andreagiostrafilm/

https://andreagiostrafilm.blogspot.it

https://www.youtube.com/channel/UCJvCBdZmn_o9bWQA1IuD0Pg

Interviste ad Andrea Giostra | Play List di YouTube:

https://www.youtube.com/playlist?list=PLwBvbICCL566fjtyqsPwctGuJ4YDekbKq

Interviste ad Andrea Giostra | Play List di Facebook:

https://www.facebook.com/watch/124219894392445/2499554480294100/

 

QUALI LE 5 CASE EDITRICI CHE HANNO PUBBLICATO IL LIBRO E COME ACQUISTARE ONLINE LA IV EDIZIONE DELLE NOVELLE BREVI DI SICILIA:

“CTL editore”, Livorno, “Novelle brevi di Sicilia”, IV edizione, aprile 2022,

https://www.ctleditorelivorno.it/product-page/novelle-brevi-di-sicilia

“Casa Cărții de çtiință” ed., Cluj-Napoca, Transilvania, Romania, settembre 2021. “Povestiri scurte din Sicilia”, IV edizione,

https://www.casacartii.ro/editura/carte/povestiri-din-sicilia/

“Biblios ed.”, Milano, dicembre 2020. “Novelle brevi di Sicilia”, IV edizione,

https://www.amazon.it/Novelle-brevi-Sicilia-Andrea-Giostra/dp/8894565521/

“Rupe Mutevole ed.”, Bedonia (Parma), novembre 2020. “Novelle brevi di Sicilia”, IV edizione,

https://www.rupemutevole.com/shop-online?ecmAdv=true&page=5

“La Macina onlus ed.”, Roma, ottobre 2020. “Novelle brevi di Sicilia”, IV edizione,

https://www.amazon.it/Novelle-brevi-Sicilia-Andrea-Giostra/dp/8894261425/

https://www.lamacinamagazine.it/pubblicato-il-libro-novelle-brevi-di-sicilia/

 


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